Ricovero, farmaci o psicoterapia?

I disturbi del comportamento alimentare rappresentano for­se la tipologia di problematiche psicologiche in cui appare più evidente quanto il disturbo sia il risultato di una com­plessa interazione tra fattori di diversa natura, che riguarda­no il rapporto che ognuno di noi intrattiene con se stesso, gli altri e il mondo in generale. La relazione con il nostro corpo e la nostra desiderabilità, il confronto con i canoni estetici di una società sempre più omologata e pretenziosa, ma anche la capacità di gestire il piacere del cibo o la necessità di con­trollare noi stessi e le nostre emozioni sono tutti aspetti che possono partecipare alla creazione e al mantenimento di un disturbo del genere. Producendo spesso effetti fisici allar­manti (come nel caso dell’anoressia), questi disturbi hanno un fortissimo impatto anche sul nucleo familiare di chi ne soffre, ed è un fattore che può portare a ulteriori complica­zioni del quadro clinico.

Quin­di, l’intervento in questi casi non può certo ridursi al puro livello biochimico, ma deve tenere conto della complessità e del livello logico in cui tali disturbi si collocano, prevedendo tipologie di intervento psicoterapeutico, individuali o fami­liari, che siano flessibili, adattabili e sempre calzate alla mo­dalità di persistenza del problema.

In una recente rassegna sull’efficacia dei diversi modelli di psicoterapia all’interno del Dizionario internazionale di psicoterapia (Castelnuovo et al., 2013) sono state riportate le forme di psicoterapia più efficaci per il trattamento di questi disturbi.

Per l’anoressia nervosa l’intervento psicoterapeutico elet­tivo è di tipo individuale o familiare a seconda dell’età di chi ne soffre.

Con i soggetti più giovani che vivono ancora in famiglia il trattamento privilegiato è quello family-based con un approccio sistemico-strategico, in cui vengono coinvolti nel processo terapeutico tutti i membri della famiglia. Mol­ta enfasi viene posta sulla responsabilizzazione dei genitori e sull’importanza che questi svolgano un ruolo terapeutico attivo per produrre cambiamenti nell’ alimentazione della fi­glia (più raramente figlio) già a partire dalla prima seduta. Anche le recenti linee guide cliniche del Royal Australian and New Zealand College of Psychiatrists per il trattamento dei disturbi del comportamento alimentare hanno sottoli­neato che il trattamento di prima linea dell’anoressia giovanile deve essere sistemico-familiare e fatto senza prevedere il ricovero, salvo casi di reale rischio di morte o danni irre­versibili per la salute (Hay et al., 2014; Nardone, Valteroni, 2017).

Nel caso di anoressia in soggetti più adulti, o tutte le volte che il coinvolgimento familiare non sia attuabile, il trattamento preferibile è quello di una psicoterapia individuale. A proposito è importante notare che non tutte le te­rapie risultano efficaci, ma solo quelle che sono costruite ad hoc sul mantenimento del disturbo, pena la loro inefficacia o addirittura il rischio di cronicizzazione. Per quanto riguarda i trattamenti farmacologici, dalla ricerca non emerge un’evi­denza significativa a favore dell’utilizzo di psicofarmaci per l’anoressia nervosa, né giovanile né adulta (NICE, 2004; Hay et al., 2014).

Anche nel caso di bulimia nervosa e binge eating il tratta­mento di prima linea indicato dalle varie linee guida e dai ri­sultati delle ricerche è la psicoterapia individuale, cognitivo comportamentale o interazionale-strategica. A questo pro­posito, un recente studio condotto presso l’Istituto auxologico italiano ha evidenziato la superiorità della terapia breve strategica nel trattamento del binge eating rispetto alla cognitivo comportamentale. I risultati ottenuti dai pazienti trattati con la terapia breve strategica tendevano a mantenersi nel tempo in maniera nettamente superiore, e con anche un maggior miglioramento nell’ambito dell’ansia, delle relazioni sociali e della qualità della vita in generale, rispetto a quelli trattati con la cognitivo comportamentale (Castelnuovo et al., 2011; Pietrabissa et al., 2014).

Per quanto riguarda la terapia farmacologica, è stato dimostrato che gli antidepressivi SSRI, in particolare la fluoxetina, possono ridurre la frequenza delle abbuffate e delle condotte di compensazione (come il vomito), non sembrano però avere effetti terapeutici a lungo termine. Possono essere utilizzati sia per la bulimia nervosa sia per il binge eating, ma solo nei casi in cui non sia possibile effettuare una terapia psicologica, la persona non risponda alla psicoterapia o sia presente anche un altro disturbo concomitante, come la depressione (NICE, 2004; Castelnuovo et al., 2013; Hay et al,, 2014).

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BIBLIOGRAFIA:

«Psicopillole. Per un uso etico e strategico dei farmaci», A. Caputo, R. Milanese, Ponte alle Grazie, 2017


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