«È piu’ facile l’astinenza della moderazione» S. Agostino
Nell’ambito dei disturbi alimentari, quello piu’ impressionante per il senso comune, a causa dei suoi effetti spesso nefasti, è rappresentato dall’anoressia.
In questo caso, all’opposto della bulimia, il meccanismo che la sottende è un controllo cosi’ ben riuscito della propria alimentazione da non poterci piu’ rinunciare.
In termini clinici l’ossessione per il dimagrimento si tramuta nel tempo in una compulsione ingestibile all’astinenza, che puo’ condurre rapidamente agli esiti piu’ drammatici.
Nella maggioranza dei casi colpisce donne giovani e belle le quali, proprio per mantenersi tali o diventare piu’ “belle”, si costringono a diete restrittive fino a diventare prigioniere della trappola terribile che si sono costruite.
Col tempo, pero’, scoprono che l’astinenza dal cibo (il piacere primordiale) produce una graduale anestesia percettivo-emotiva che le protegge dalla paura di perdere il controllo durante le esperienze emotive intense e, siccome contiguo al piacere vi è anche il dolore, imparano ad immunizzarsi anche dal dolore attraverso l’immunità dal piacere.
A questo punto il dimagrimento diventa lo strumento per produrre tale anestesia!
Il problema è che la tendenza alla restrizione alimentare diviene man mano un processo autoreferenziale che si autoalimenta:
infatti, piu’ si controllano piu’ perdono peso, e piu’ perdono peso piu’ si anestetizzano, e piu’ si anestetizzano piu’ la credenza si rinforza e li costringe a perdere ulteriormente peso…e cosi’ via in un circolo vizioso che spesso ha un esito infelice.
Dopo un prolungato periodo di tale esercizio (almeno 3 mesi), l’astinenza si installa come predominante modalità di percezione e reazione nei confronti della realtà a cui non si riesce piu’ a rinunciare, una sorta di “armatura medievale” che protegge (dal dolore fisico e dalle emozioni perturbanti) ma allo stesso tempo imprigiona (impedisce di far scoprire che tali esperienze non sono né rischiose né pericolose, bensi’ fondamentali per il loro equilibrio psicofisico).
Questa patologia è tra quelle piu’ alla “ribalta” tra le giovani donne perchè è molto ambivalente:
da una parte, infatti, spaventa per la sua pericolosità;
ma al tempo stesso attrae per l’effetto di illusoria elevazione al di sopra della massa: per le anoressiche la perdita di peso viene considerata una straordinaria conquista in quanto riescono a fare qualcosa che la maggior parte non riesce a fare, riescono nell’impresa di astenersi dal cibo!
Inoltre, numerose dive sono state vere e proprie testimonial di questo disturbo, che per certi aspetti “eleva” le pazienti, mentre tutte le altre patologie abbassano. Tale sopravvalutazione patogena ne fa una sorta di ambito traguardo per schiere di adolescenti, che associano questa condizione al successo e alla distinzione dalla massa.
«L’astinente fugge da cio’ che desidera ma porta il suo desiderio con sé» Bhagavadigta
PSICO SOLUZIONI
Il primo dato relativo al trattamento di questo disturbo da prendere in considerazione è fornito dall’Associazione mondiale dei disordini alimentari (ANADA): circa il 15% dei soggetti muore, il 40% si cronicizza, il 45% migliora.
Ovviamente è una valutazione opinabile, ma che mostra con chiarezza la difficoltà del trattamento.
Per quanto ci riguarda,
la risoluzione totale del disturbo non supera il 60% dei casi;
il 20% circa sono i casi che hanno registrato un miglioramento, cioè il recupero di una buona parte del peso corporeo, senza pero’ aver raggiunto il risultato ottimale e che mantengono uno stile di vita anoressoide, pur in una situazione stabile.
Il restante 20% il piu’ delle volte interrompe precocemente la terapia, portandola al fallimento.
Esperienza comune di tutte le strategie terapeutiche efficaci è il fatto che, se si riesce ad intervenire all’insorgere del disturbo, o quando ancora il soggetto è in fase adolescenziale, attraverso una terapia che coinvolge necessariamente tutta la famiglia, assumendo atteggiamenti e comportamenti che inducono la giovane paziente a riprendere a mangiare, gli esiti positivi sono decisamente molto piu’ probabili. Questo spesso implica la risoluzione di dinamiche familiari, oltre che individuali, complesse e patogene.
Per quanto riguarda invece i soggetti adulti, l’intervento cerca prioritariamente di fare in modo che la paziente si conceda delle piccole trasgressioni volontarie allo stile alimentare e di vita, inducendola a scoprire gradualmente come tali esperienze non siano rischiose né pericolose per il suo equilibrio, bensi’ piacevoli e in grado di offrire una capacità maggiore, e non una perdita, del controllo. Il controllo piu’ elevato, infatti, coincide con la capacità di lasciarsi andare per poi riprendersi, e non certo irrigidirsi in posizioni difensive.
Nardone G., (2013), Psicotrappole, Ponte alle Grazie (collana Saggi di Terapia breve)