«È cambiata persino la figura dell’ipocondriaco. Il medico degli anni ’40 definiva con questo termine colui che bussava continuamente alla porta del suo studio, il malato immaginario. I medici d’oggi invece indicano col medesimo nome la minoranza che li fugge: gli ipocondriaci sono i sani immaginari» Ivan Illich
Sino al 70% dei pazienti che richiedono un appuntamento dal proprio medico presenta problemi psicosociali legati alla richiesta (Gatchel and Oordt – APA, 2008).
E l’ipocondria non raramente rappresenta una condizione iatrogena indotta dall’incapacità o dall’impossibilità da parte del medico di ascoltare la storia del paziente e di dare peso appropriato agli aspetti psicosociali che contribuiscono ai sintomi.
Spesso i camici bianchi sottovalutano un aspetto molto importante della relazione medico-paziente: la comunicazione e, in particolare, il fatto che i pazienti possono comunicare il loro malessere emotivo in forma di sintomi somatici. Ma questo, paradossalmente, puo’ dipendere proprio dalle aspettative che il paziente nutre su quello che il medico può fare. Infatti, per arrivare all’attenzione medica, una persona deve compiere una serie di azioni ritualizzate in termini di assunzione di un comportamento di malattia fisica o corporea (Mechanic, 1962, 1986). Ci si può sentire «obbligati» ad esprimere il proprio malessere psichico in modo ipocondriaco.
Questo avviene anche perché esiste il medico di fiducia ma non esiste una figura equivalente che possa invece occuparsi primariamente di salute emotiva e psicologica.
E il medico di fiducia vuole e puo’ soltanto ascoltare termini organici in quanto specificatamente formato per questo. Come direbbe Bill Gates, «Se il solo strumento che si ha a disposizione è un martello, ogni problema assomiglierà a un chiodo da battere».
Il medico può tentare, cosi’, di eliminare i sintomi psicologici con un approccio di tipo biologico e razionale: ad esempio, portando le prove scientifiche dell’assenza di lesioni organiche, oppure utilizzando la persuasione o la rassicurazione verbale. Il problema è che molti accertamenti prescritti nell’intento di tranquillizzare il paziente, producono esattamente l’effetto contrario rispetto alle intenzioni iniziali, in quanto, il paziente sottoposto a continui accertamenti è legittimato a pensare in questo modo:
«Il medico mi sottopone a esami cosi’ approfonditi perchè forse soffro di qualche brutta malattia difficile da scoprire».
Si passa da una credenza del tipo «Se ho una brutta malattia devo fare degli esami approfonditi» ad un’altra che conferma quella iniziale che avrebbe dovuto confutare: «Se faccio degli esami approfonditi vuol dire che ho una brutta malattia», dove la causa diventa effetto e l’effetto diventa causa.
Questi sono i tipici effetti paradossali a cui si va incontro quando si prendono in considerazione solo gli aspetti medico-biologici ignorando quelli psicologici!
In altre parole, si tenta, da un lato, l’impossibile compito di risolvere con una logica razionale un problema che ha una matrice completamente differente (logica della credenza) e, dall’altro, di dissolvere in modo semplicistico difese psicologiche ormai radicate e vitali per il paziente: un tentativo, quasi sempre, destinato a fallire!
La diagnosi, le indagini e il trattamento sono cosi’ pesantemente influenzati da questa modalità di agire con gravi costi per l’individuo e per l’intero sistema sanitario (sovraprescrizioni di farmaci non necessari, indagini diagnostiche superflue, giorni di lavoro persi…).
Ora, se si vuole intervenire in maniera efficace su questa tipologia di problematiche, ci si deve affidare a chi studia da anni questa tipologia di meccanismi mentali, il quale, anzichè rassicurare, dovrà mirare alla neutralizzazione delle tentate soluzioni fallimentari messi in atto dal paziente e/o dal suo medico attraverso un intervento di tipo paradossale che calzi alla struttura specifica del problema che si vuole risolvere!
Parallelamente sarà necessario interrompere l’incessante richiesta di rassicurazione attraverso diagnosi e consulti specialistici. Infatti, rassicurarsi attraverso la prevenzione attiva non fa altro che alimentare ricorsivamente il bisogno incessante di rassicurazione e, a volte, persino creare la condizione patologica che si doveva prevenire attraverso la prevenzione. Infatti, la lotta contro ogni minima sensazione minacciosa puo’ diventare cosi’ stressante da abbassare le difese immunitarie e avverare la credenza di essere malati!
«La salute è quella quantità di malattia che mi permette di continuare a dedicarmi alle mie occupazioni» F. Nietzsche
ISTRUZIONI PER DIVENTARE IPOCONDRIACI
CONSIGLI PER FAMILIARI ED AMICI
AVVISO: Le tecniche, i suggerimenti pratici e i consigli contenuti nella sezione PSICO SOLUZIONI non sostituiscono il parere dello specialista, al quale è sempre indispensabile rivolgersi per qualsiasi diagnosi o terapia specifica. Pertanto, l’autore non puo’ ritenersi responsabile per ogni eventuale uso scorretto delle tecniche descritte in questa sezione da chiunque si avvalga delle stesse a fini terapeutici o diagnostici senza aver previamente interpellato lo specialista, l’unico in grado di fare una diagnosi corretta e adattare l’intervento al caso particolare.
BIBLIOGRAFIA:
Nardone G. (2013), Psicotrappole, ovvero le sofferenze che ci costruiamo da soli: imparare a riconoscerle e a combatterle, Milano: Ponte alle Grazie.
Sims A., Oyebode F. (2009) Introduzione alla psicopatologia descrittiva, Raffaello Cortina Editore (collana Psichiatria Psicoterapia Neuroscienze)