La ricerca ha provato che giocare in rete crea dipendenza. Grùsser (2007) afferma: «L’uso di giochi per il computer su Internet crea una “memoria del piacere” nel cervello, che dà dipendenza come accade per alcol e droghe leggere». I sintomi più frequenti osservati, infatti, anche in questi casi sono agitazione, tremore e ansia. Inoltre, talvolta, forse anche per aumentare le proprie prestazioni, i giocatori assumono sostanze (Grùsser et al., 2007) e cosi facendo finiscono per complicare la situazione.
Chi vive questo “amore” mentre gioca, perde la cognizione del tempo, trascura se stesso, gli impegni e tutto il resto. È completamente alienato. Se a essere “innamorato” dello strumento informatico è un giovane, non è insolito che si verifichi un calo di rendimento o addirittura il “rifiuto” scolastico, che si riduca, quando non si azzeri, il rapporto con il mondo reale.
Il giocatore assiduo nel tempo perde benessere, soldi e affetti e solo raramente ha chiaro ciò che gli accade. Gli effetti negativi, invece, sono vissuti e percepiti da chi sta loro intorno, che spesso non sa come arrestare il declino del familiare.
Sviluppo della dipendenza
Il gioco, che all’inizio evoca piacere ed entusiasma, progressivamente diviene sempre più uno strumento e un tentativo per sopportare una realtà solitamente ritenuta ingiusta e/o sbagliata. Il virtuale, da alternativa al mondo, pian piano si sostituisce ad esso e diventa l’unica realtà vissuta. Lì si espongono paure, dolore, rabbia: emozioni scaturite dall’incapacità di iniziare a fare qualcosa per dar vita al sogno adolescenziale, che andando avanti diventa sempre più sfocato.
I diversi stili di gioco
I risultati delle ricerche sul tema, sulla scia di studi precedenti di altri colleghi (Barde, 1996; Yee, 2015), ci ha permesso di raggruppare i giocatori in tre categorie:
Illusi-delusi da sé, dagli altri e dal mondo. In giovane età sono ribelli con atteggiamenti oppositivi- provocatori. Per loro il gioco rappresenta un modo per riscattarsi, per vendicarsi e per ottenere potere. Si possono percepire o vittime di se stessi, o vittime di altri, oppure vittime di un mondo fatto male. Tendenzialmente sono persone facili alle illusioni con alte aspettative spesso disattese, per questo si chiudono nel loro mondo. Il climax del malessere lo possono raggiungere verso i trentanni, quando si rendono conto di aver sprecato una bella fetta di vita a giocare e ad accumulare fallimenti e rabbia. Prediligono giochi “sparatutto” (killer) e quelli dove bisogna conquistare territori o avanzare di livello (achiever).
Incapaci consapevoli. In questa categoria rientrano quelli che giocano con amici in carne e ossa e coloro che giocano on-line per non sentirsi soli. Sono giovani adolescenti, caratterizzati da bassa autostima, sfiducia nelle proprie capacità, con un reale o presunto difetto fisico, cresciuti in un clima familiare iperprotettivo che finisce per renderli inetti e dipendenti. Il gioco, per loro, diventa la via più semplice per fare amicizia e socializzare. Così facendo, si privano delle possibilità che offre la vita, non mettendosi alla prova aumentano il loro senso di incapacità e di inadeguatezza. Di solito si specializzano in un gioco che prevede un vincitore e un vinto.
Iper-razionali o esploratori, giocatori a cui piace scoprire la meccanica di gioco andando a scovare le parti meno evidenti e/o nascoste, compresi gli errori di programmazione. Sono curiosi, attratti dalle novità e, al fine di arricchire la propria esperienza di gioco, ne studiano minuziosamente i dettagli. Mostrano un interesse relativo per gli obiettivi del gioco. Questi giocatori possono essere professionisti dell’informatica o cultori dei videogiochi on-line a cui dedicano tanto tempo fino a diventare esperti. Giocando a fare gli analisti, anche loro rischiano la dipendenza. Pensando di controllare il gioco, finiscono per esserne controllati e non poterne più fare a meno.
Proprio la famiglia tenta solitamente un primo intervento, inizialmente fatto di richieste incessanti di smettere, mettendo il soggetto davanti alle conseguenze negative da lui stesso create e che hanno avuto ripercussioni sull’intero sistema familiare. Questo può sicuramente servire ad accrescere il senso di colpa ma non a risolvere il problema!
Di fronte al perseverare del soggetto, la famiglia può passare a maniere più forti, per esempio tenere sotto controllo le ore di gioco, fino ad arrivare, talvolta, a togliere di mezzo lo strumento «tentatore», ossia il computer.
Il conflitto e la lite, a questo punto, divengono ingestibili: a ogni tentativo della famiglia di tamponare la situazione corrisponde un tentativo del soggetto di trovare una scappatoia (paradosso del predatore che migliora la preda).
PSICO SOLUZIONI
Una terapia risolutiva, dopo aver fornito alla famiglia gli strumenti necessari per gestire l’ingestibile, si occuperà del controllo da parte del paziente sul proprio comportamento compulsivo attraverso la costruzione di veri piaceri che si sostituiscono a quello artificiale, permettendo, cosi’, l’acquisizione di competenze personali e sociali che consentono di far sentire campioni nella vita.
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