Terapia sintomatica o intervento radicale?

«Il privilegio di non avere piu’ sintomi, ti regala quello più pregiato, di poter scegliere quali averne»

 

Una delle accuse piu’ «facili» mosse alla Terapia Breve Strategica (TBS) è quella di essere una terapia meramente sintomatica, di non intervenire sulle cause primarie da cui originano i problemi e, quindi, di produrre un cambiamento di facciata destinato a non durare nel tempo.

Ma le cose non stanno esattamente cosi’…

Come vedremo, intervenire sul sintomo non significa fermarsi alla superficie ignorando tutto quello che c’è sotto, Anzi, l’idea è che solo smuovendo la superficie possiamo far emergere cio’ che c’è sotto la superficie.

Rispetto alle terapie tradizionali, dove è la diagnosi a guidare l’intervento, in TBS intervenire sul sintomo permette al terapeuta, attraverso la terapia stessa del sintomo, di effettuare una prima vera diagnosi che lo guiderà a calibrare gli interventi successivi. Questo semplicemente perché, solo dopo che il sintomo è stato rimosso, si puo’ realmente valutare quanto spazio esso occupasse all’interno della problematica.

In molte situazioni, infatti, il sintomo si avvita talmente su se stesso da costituire in toto l’espressione di una problematica le cui cause iniziali che l’hanno prodotta si sono già risolte.

In questi casi è il sintomo stesso che obbliga il paziente a combattere una battaglia continua e ripetitiva, nella quale il risultato è sempre lo stesso, come un disco rotto che compie sempre lo stesso inutile giro. La sua vita quotidiana si svolge intorno ad un sintomo, in un girotondo infinito che ha sempre la stessa destinazione. E una buona terapia deve essere in grado di togliere il paziente da questo circolo vizioso che non gli permette di evolversi, nel modo piu’ veloce ed efficace possibile.

L’idea è quella di inserire una rottura in questo anello per trasformarlo in un’elica che faccia muovere il paziente in una qualche direzione. È evidente che l’obiettivo dell’intervento non è mai quello di scegliere cosa è meglio per lui e cosa no, ma quello di aumentare il numero delle sue possibilità di scelta, affinchè ritorni libero di scegliere nel piu’ breve tempo possibile (Nardone, Watzlawick, 1990). Perché non si puo’ mai essere liberi di scegliere quando si è costretti a scegliere sempre e solo quello che si è costretti ad essere.

Il «Conosci te stesso» non va più inteso nel senso di «Conosci il tuo Io profondo», quanto piut­tosto nel senso di «Conosci che cosa ti influenza e ti dirige».

Altre volte, invece, il sintomo è solo una parte della problematica che affligge il paziente, quella piu’ immediatamente fastidiosa, dietro la quale sussiste una vero e proprio disturbo che necessita di trattamento.

In questi casi puo’ iniziare una seconda fase d’intervento definita come «psicoterapia breve a lungo termine»: breve sui sintomi contingenti e a lungo termine nel seguire il paziente anche per diversi anni nelle sue varie fasi critiche ed evolutive, senza per questo dover continuare ad aiutarlo anche quando se la sta cavando benissimo da solo.

Riassumendo, lo stesso sintomo puo’ avere diversi substrati organizzati a differenti livelli di complessità:

  • Il sintomo è il problema;
  • Il sintomo è solo la parte piu’ evidente di un problema piu’ complesso.

E richiedere diversi tipologie d’intervento:

  • Risolto il sintomo si risolve il problema;
  • Risolto il sintomo bisogna intervenire sul problema che c’è dietro;
  • Il trattamento mirato al sintomo puo’ provocare un effetto a cascata che investe altre aree della vita del paziente che, quindi, non ha bisogno di ulteriore trattamento.

Per questi motivi, è importante porsi, come primo obiettivo, la risoluzione del sintomo presentato anzichè la ricerca della cause originarie che, paradossalmente, rischia di alimentarlo.

Bisogna, infatti, tener presente che ogni causa produce un effetto, ma ogni effetto poi attua una retroazione sulla propria causa, creando un ANELLO DI RETROAZIONE (feedback loop), che si mantiene e si rinforza da sé, dove la causa puo’ diventare effetto e l’effetto, a sua volta, puo’ diventare causa, in un processo dinamico senza fine.

La natura, le qualità e pertanto anche le patologie di tale anello non possono piu’ essere attribuite semplicemente ad una singola componente, fosse pure quella che lo ha generato inizialmente. Perché una volta che si è costituito, diventa una qualità emergente, qualcosa di piu’ e di diverso rispetto alla somma totale delle sue parti costitutive.

Ne consegue direttamente che, l’attribuzione di causa originaria ad una singola variabile (ammesso che possa esserne isolata una), rischia di essere un processo del tutto artificioso, il cui effetto puo’ essere quello di creare letteralmente una causa fittizia che, a sua volta, diviene la conferma radicale della propria incapacità di gestire la realtà e al tempo stesso l’alibi della propria posizione. La conseguenza sarà comunque quella di tendere a cristallizza­re il disturbo anziché destrutturarlo. Ovvero, creare un secondo problema con l’intento di risolvere il primo.

L’obiettivo di un intervento strategico, invece, è cercare di risolvere i problemi con soluzioni che espongano ai minori rischi e pericoli, e ai minori costi esistenziali. Il massimo terapeutico è ottenere tanto mediante poco, in modo da evitare il rischio di “sparare con il cannone ad un moscerino”.

L’idea è che, se si vogliono trovare delle soluzioni davvero efficaci, bisogna scartare tutte quelle troppo complicate in quanto, frequentemente, le soluzione complicate rendono ancor piu’ complicato il problema invece che risolverlo. E, anche se sembra un’affermazione controsenso, anni di ricerca  clinica applicata ci suggeriscono che i problemi più complessi si risolvono con le soluzioni più semplici, soluzioni che permettono di gestire la complessità rendendola maneggevole anziché subirla. Viceversa, talvolta, i problemi semplici hanno bisogno di soluzioni piu’ complesse perché sono proprio le problematiche minori ad evocare maggiore resistenza.

Dopo aver rotto il sistema disfunzionale che manteneva il problema ed aver cosi’ aperto nuove possibilità percettive e reattive per il paziente, si lavorerà per consolidare il cambiamento attraverso  la ripetizione guidata di schemi comportamentali e percettivi piu’ adattivi. La ripetizione nel tempo di un nuovo copione comportamentale senza sintomi conduce da una parte a ripristinare nella persona un nuovo equilibrio e, dall’altra, a mettere in dubbio la vecchia percezione, quella di essere totalmente posseduto dal sintomo che lo ha portato in terapia.

A questo punto il sintomo diventa controllabile ma, se è controllabile, non è più un sintomo che, per definizione, è qualcosa di incontrollabile!

Quest’ultimo rappresenta il vero obiettivo dell’intervento, trasfor­mare la percezione del paziente, non la reazione. Perché la percezione è il fondamento di ogni nostra reazione. Prima di tutto percepiamo. Poi arrivano le emozioni, le co­gnizioni, i comportamenti. Il filosofo Berkeley diceva: «Tutto ciò che è percepito esiste».

Questo permette di garantire risultati duraturi nel tempo e di evitare il piu’ possibile il rischio di ricadute.

«Non c’è niente che provochi una maggiore resistenza di soluzioni semplici a problemi di lunga durata» Karl Popper