«Lo Psicologo Strategico è come un esperto marinaio che non puo’ conoscere la profonda verità del mare nè tantomeno il perchè dei suoi mutamenti. Eppure, con la sua conoscenza limitata al ‘come fare’, attraversa gli oceani e fronteggia le tempeste»
Tutti coloro che studiano i fenomeni mentali purtroppo sanno bene quali tremende difficoltà incontra la loro ricerca per l’assenza di un punto archimedeo fuori della mente. Piu’ di ogni altra disciplina, la psicologia e la psichiatria riflettono se stesse: soggetto e oggetto sono identici, la mente studia se stessa e ogni ipotesi tende invariabilmente ad autoconvalidarsi (1). L’impossibilità di vedere la mente ‘al lavoro’ (come avviene, ad esempio, con il corpo in medicina) ha fatto adottare negli ultimi anni un concetto elaborato nel settore delle telecomunicazioni, cioè quello di “scatola nera” (black box). La sua prima applicazione è stata militare: si è deciso che non si potevano aprire, per esaminarle, certe apparecchiature elettroniche catturate al nemico perchè era molto probabile che contenessero cariche distruttive.
In seguito il concetto è stato generalizzato e si è giunti alla conclusione che l’hardware elettronico (es. la mente) è cosi’ complesso che talvolta conviene trascurare la struttura interna del dispositivo (es. l’intrapsichico) e studiare esclusivamente i suoi rapporti specifici di ingresso-uscita (es. la comunicazione). Anche se è vero che questi rapporti non escludono interferenze con quanto si verifica realmente all’interno della scatola, le cognizioni che se ne possono trarre non sono indispensabili per studiare la funzione del dispositivo nel sistema piu’ grande di cui fa parte (es. la realtà).
Se applichiamo questo concetto ai problemi psicologici e psichiatrici, si nota subito il vantaggio euristico che ne deriva: non abbiamo bisogno di ricorrere ad alcuna ipotesi intrapsichica (che é fondamentalmente inverificabile) e possiamo limitarci ad osservare i rapporti di ingresso-uscita, cioè la COMUNICAZIONE.
L’approccio strategico dice proprio questo: la realtà in cui viviamo – proprio come la nostra mente – puo’ essere paragonata ad una sorta di “scatola nera”; ovvero è talmente tutto tanto complesso e complicato che noi possiamo fare affidamento semplicemente in cosa facciamo e cosa ci torna indietro. Per dirla alla Moren, la vita è un “campo di battaglia” dove la complessità è massima. Ad esempio, nelle interazioni sociali, per raggiungere gli scopi che ci prefissiamo quotidianamente, dobbiamo non solo immaginare continuamente cosa pensano gli altri di noi ma anche immaginare cosa pensano che noi stiamo pensando di loro etc. In questa intricata realtà fatta di aspettative, proiezioni, interpretazioni, possiamo fare affidamento solo a quelle piccole cose, azioni, che ci danno la certezza di raggiungere i nostri obiettivi: questa è l’arte strategica!
Esattamente come avveniva in guerra per verificare la presenza di cariche distruttive nelle apparecchiature catturate al nemico, allo stesso modo possiamo verificare costantemente nella realtà quotidiana se le idee che abbiamo sulla vita sono corrette o meno, se le azioni nei confronti degli altri (familiari, partner, amici, colleghi di lavoro…) sono giuste oppure no, intendendo per giuste se sono in grado di farci raggiungere gli scopi prefissati.
Lo sono perchè rispettano una certa ideologia? Perchè ce lo dice una teoria a priori? Oppure perchè ci consentono di realizzare i nostri scopi?
Il risultato delle nostre azioni potrà essere positivo (se raggiungiamo l’obiettivo) oppure negativo (se non lo raggiungiamo) e se l’effetto sarà negativo, sarà tale perchè dietro le proprie azioni si aveva un ‘idea, una convinzione, una credenza troppo forte che ci ha impedito di cambiare l’azione che non ha funzionato, semplicemente perchè ce lo ha detto una teoria precostituita.
Quindi la domanda da farsi è: le azioni che sto mettendo in campo mi portano effettivamente a raggiungere i miei obiettivi?
Altrimenti, il rischio concreto è quello di creare una frattura netta tra l’intenzione e l’effetto:
- io posso avere ottime intenzioni ma pessimi effetti, essere in qualche modo erudito da un punto di vista teorico ma scarso da un punto di vista pratico, ovvero ottenere negli effetti esattamente l’opposto di quello che la teoria prevedeva;
- cosi’ come posso avere pessime intenzioni ma ottimi effetti, essere poco erudito da un punto di vista teorico e scaltro da un punto di vista pratico.
A questo punto viene naturale chiedersi: si possono avere buone intenzioni e buoni effetti?
La risposta è si, possiamo mantenere le ottime intenzioni semplicemente cambiando le nostre azioni, e quindi, gli effetti che ne derivano (es. si rimane una buona mamma anche se si fanno delle azioni che apparentemente non sembrano di buona mamma, ma il risultato sarà una buona educazione dei figli).
Nel testo dei fondamentali dell’Ordine dei Gesuiti, Sant’Ignazio di Loyola afferma che “il principio e il fondamento di un cristiano è lo scopo per cui è stato creato”, cioè le intenzioni di ognuno sono lo scopo verso cui si protende, le intenzioni coincidono con lo scopo. Ovvero io adeguo la mia azione al risultato che voglio ottenere e il risultato che voglio ottenere corrisponde al mio desiderio di fondo, al mio obiettivo di fondo, alla mia caratteristica esistenziale di fondo: io non sono quello che penso di essere, ma quello che ottengo dalle mie azioni.
L’idea è che non devono essere le mie idee preconcette, le mie teorie a priori a dover muovere i comportamenti, ma sono i comportamenti che devono adeguarsi esattamente ai loro effetti: posso decidere di mettere in atto un comportamento “razionale” e “logico” con il risultato di ottenere l’esatto contrario rispetto all’obiettivo prefissato, oppure scegliere un comportamento “ambivalente” e “controintuitivo” e raggiungere l’obiettivo.
SITOGRAFIA:
Rielaborazione dell’estratto del workshop “In cosa consiste l’arte dello stratagemma? E qual è la mentalità che sta alla base delle abilità strategiche” tenuto dal Dr. Bernardo Paoli durante “Torino Spiritualità 2013” pubblicato il 12 ottobre 2013