«La paura non si vince col coraggio, ma con una paura piu’ grande» Carlo Gragnani
Nel corso di un attacco di panico, ovvero quando gli indici fisiologici dell’organismo si alterano a causa di situazioni spaventose o percepite come tali, si attivano due aree cerebrali in momenti temporali differenti:
1)PALEOENCEFALO: i primi ad attivarsi sono centri piu’ antichi come l’amigdala, il corpo ceruleo e l’ippocampo. Questi meccanismi scattano in automatico e in tempi brevissimi e, prima che la mente se ne renda conto, ci fanno regire al pericolo in maniera riflessa consentendoci, ad esempio, di mantenere l’equilibrio quando inciampiamo o di evitare un animale che ci attraversi la strada mentre stiamo guidando;
2)NEOCORTECCIA: oltre a questi dispositivi automatici, si realizza anche un’attivazione che giunge solo in un secondo momento a quello che potremmo definire il cervello piu’ moderno.
In pratica, quando percepiamo una sensazione o un’immagine spaventosa (a livello consapevole o meno, interna o esterna a noi), il nostro paleoencefalo innesca una serie di reazioni fisiologiche (es. aumento del battito cardiaco, incremento della frequenza respiratoria, sudorazione…) allo scopo di preparare l’organismo ad una risposta adattiva di attacco o fuga (fight or flight).
Appena la neocorteccia si accorge di queste reazioni naturali, si spaventa, non della paura iniziale ma delle reazioni fisiologiche del nostro organismo alla paura iniziale e tenta in tutti i modi di reprimerle attraverso comportamenti di controllo delle proprie reazioni che ha, pero’, come unico esito quello di esasperarle anzichè sedarle: l’effetto, dunque, si trasforma in causa!
Quindi, il problema si crea nel momento in cui la coscienza (neocorteccia) comincia a voler interferire sugli automatismi vitali della consapevolezza (cervello arcaico) creando un vero e proprio cortocircuito autoreferenziale e paradossale della paura che genera se stessa:
Sensazioni → Paura → Tentativo di controllo delle sensazioni → Alterazioni delle funzioni → Aumento della paura → Incremento del controllo…
Tutto questo usualmente viene definito PANICO o SPIRALE PANICA!
Si tratta di reazioni naturali e temporanee che, se lasciate defluire, rientrano nei ranghi in pochi minuti; se, al contrario, si cercherà di contrastarle, si rischierà di fare come colui che cerca di fermare un fiume in piena e ne viene travolto!
Da cio’ possiamo dedurre che:
1)quando avvertiamo la sensazione di un attacco imminente,
la cosa migliore da fare, anziché rifiutare la paura, è quella di evocarla ed alimentarla volontariamente portandola all’esasperazione nella propria fantasia, sino a farla collassare su se stessa per un effetto paradossale (STRATAGEMMA : «Spegnere il fuoco aggiungendo legna») (Nardone, 1993; APA, 2007; Nardone, Salvini, 2013).
2)quando, invece, l’attacco è stato innescato,
non si puo’ logicamente tornare indietro e quindi l’unica cosa logica da fare è rimanere fermi ad aspettare semplicemente che passi, evitando di fare qualcosa perchè passi. Ovvero senza sforzarsi nella direzione di una sua attenuazione (ad es. tentando di rilassarsi e/o di controllare volontariamente le funzioni del proprio organismo...).
E se non finisse mai?
Non trovo altro modo di descrivere questa sensazione se non ricorrendo all’impressionante racconto «Il cacciatore Gracco» di F. Kafka, che rimanda tematicamente ai vissuti dei pazienti aggrediti dal panico e dalla paura che il panico possa non esaurirsi mai.
In questo breve racconto Kafka narra l’impresa di un cacciatore della Selva Nera che, rimasto vittima di una caduta in un burrone, non è però riuscito a raggiungere l’aldilà e ora è vivo ed è morto, è morto ma è ancora vivo. Se ne sta disteso e aspetta: la disgrazia è l’impossibilità della vita o della morte.
Come il cacciatore Gracco, anche i panicanti possono sviluppare la paura di un attacco interminabile, ossia di un terrore incontrollabile che possa mettere termine alla propria tranquillità, ma che non possa conoscere essa stessa una fine, una conclusione.
E allora, invece di stare stesi ed aspettare, lottano strenuamente contro il panico che fanno rinascere ogni volta respingendolo, non consentendo al terrore di realizzarsi e di chiudere la parabola effimera tipica di ogni attacco.
«Spingendo quotidianamente i nostri limiti riusciamo, a piccoli passi, a superare le paure che ci vietano e ci limitano il possesso della nostra esistenza» D’Arrigo, 1999.
PANICO: UN ANSIOLITICO PUO’ ESSERE LA CURA?
BIBLIOGRAFIA:
Nardone Giorgio (2013), Psicotrappole, ovvero le sofferenze che ci costruiamo da soli: imparare a riconoscerle e a combatterle, Milano: Ponte alle Grazie.