Si sta assistendo ad una preoccupante e crescente sovradiagnosi di disturbi mentali in età evolutiva (Merten et al., 2017). Ed è così che:
i bambini ribelli e indisciplinati diventano sofferenti di un disturbo oppositivo provocatorio;
quelli che fanno fatica a rimanere seduti a un banco per ore o a concentrarsi a lungo su un compito possono essere diagnosticati come affetti da disturbo da deficit di attenzione con iperattività (adhd);
le normali paure infantili si trasformano in disturbi d’ansia;
e le crisi esistenziali e gli sbalzi di umore tipici dell’adolescenza possono portare addirittura alla diagnosi di depressione maggiore o di disturbo bipolare.
Anche in Italia si assiste purtroppo a numerose prescrizioni di farmaci non autorizzati all’uso in età pediatrica (off-label) e la cui efficacia non è adeguatamente documentata. La classe di farmaci maggiormente prescritta è quella:
- degli antidepressivi;
- seguita dagli antipsicotici;
- e dai farmaci per I’adhd.
Nel 77% dei casi gli psicofarmaci sono prescritti ad adolescenti di età compresa tra 12 e 17 anni. La maggioranza delle prescrizioni di psicofarmaci ai minori, soprattutto antidepressivi e antipsicotici, è effettuata dal medico di medicina generale o dal pediatra e non da uno specialista.
Il 16 maggio 2017 un comunicato dell’Agenzia italiana del farmaco (aifa) ribadisce quanto noto ormai da tempo: i farmaci antidepressivi sono pericolosi per i bambini e gli adolescenti. Già nel 2005 l’aifa aveva emesso una nota analoga indicando che era opportuno evitare antidepressivi per i più giovani, appello rimasto purtroppo inascoltato. Seguendo il pericoloso trend degli Stati Uniti, anche nell’Unione Europea l’uso degli antidepressivi prescritti ai minori è aumentato in media di circa il 40% tra il 2005 è il 2012. Queste allarmanti percentuali riportate in uno studio pubblicato sull’European Journal of Neuropsychopharmacology (Bachmann et al., 2016) hanno creato una notevole preoccupazione a livello dell’Organizzazione mondiale della sanità tanto che, il 26 aprile 2017, il Parlamento europeo ha deciso di aprire un’interrogazione parlamentare proprio sul tema di bambini e psicofarmaci.
Come mai tanto allarme?
Già dagli anni Novanta del secolo scorso era apparso evidente che l’utilizzo degli antidepressivi per i bambini e gli adolescenti poteva essere decisamente pericoloso, una situazione fotografata anche da un’impressionante sequela di vicende legali che hanno visto le case farmaceutiche pagare risarcimenti miliardari ai genitori di ragazzi morti suicidi dopo aver assunto psicofarmaci, pur di evitare di andare in giudizio.
Ma è solo a partire dal 2004 che la FDA statunitense ha obbligato le case farmaceutiche produttrici di tutti gli antidepressivi a inserire una black box nei foglietti di questi farmaci per allertare riguardo al fatto che aumentano il rischio di pensieri e atti suicidari nei giovani al di sotto dei 24 anni.
La dimostrazione definitiva dell’inutilità e dannosità di questi farmaci per i più giovani arriva da due recentissime meta-analisi. La prima, condotta dall’Università di Oxford e pubblicata a giugno del 2016 sulla rivista Lancet, ha analizzato i risultati di tutti gli studi (pubblicati e no) sugli effetti di 14 antidepressivi su oltre 5200 giovani di età compresa tra i 9 e i 18 anni (Cipriani et al., 2016). Le conclusioni tratte dagli autori sono che gli antidepressivi risultano non solo inefficaci, ma anche dannosi per i bambini e gli adolescenti. Dei 14 antidepressivi analizzati, infatti, solo la fluoxetina è risultata essere leggermente più efficace rispetto al placebo nell’alleviare i sintomi di depressione per i giovanissimi, ma questo piccolo vantaggio non controbilancia il consistente numero di effetti collaterali, tra cui un aumento di pensieri suicidari. Gli autori sostengono che, considerato il rapporto costi/benefici, questi farmaci non sembrano indicati per i bambini e gli adolescenti.
La seconda meta-analisi, pubblicata sul prestigiosissimo British Medicai Journal, ha invece preso in considerazione tutti i dati relativi al rischio suicidario e all’aggressività provenienti dai principali studi sulla paroxetina e su altri ssri e snri, e ha evidenziato che questo addirittura raddoppia nei bambini e adolescenti che assumono antidepressivi (Sharma et al., 2016).
Analogo allarme arriva per il sempre più dilagante utilizzo di psicostimolanti per la cura dell’ADHD (Ritalin), che possono produrre seri effetti collaterali sui bambini, come la tendenza a ritirarsi dalle interazioni sociali per concentrarsi su compiti ripetitivi e noiosi, un intenso appiattimento affettivo e lo sviluppo di sintomi ossessivo-compulsivi (Breggin, 2001; Moncrieff, 2009). Gli psicostimolanti, inoltre, possono alterare lo sviluppo del sistema nervoso e ritardare la crescita dei bambini, in termini sia di altezza sia di peso (Germinario et al., 2013).
Alcuni ricercatori hanno evidenziato come l’uso di antidepressivi e psicostimolanti negli adolescenti possa favorire anche un’instabilità umorale che potrebbe portare a una diagnosi di disturbo bipolare con conseguente ulteriore trattamento farmacologico (Faedda, 2004; Offìdani, 2013).
I trattamenti di prima linea per i disturbi psichici in età evolutiva, quindi, non dovrebbero essere mai farmacologici!
L’utilizzo di psicofarmaci con bambini e adolescenti, inoltre, non tiene conto del fatto che sino a circa vent’anni il cervello è ancora in evoluzione da un punto di vista fisiologico, soprattutto in alcune zone come la corteccia prefrontale (area dedicata a tutta una serie di funzioni cognitive di alto livello, compresi l’inibizione di atteggiamenti inappropriati, la comprensione empatica dell’altro e l’autoconsapevolezza). Ecco che allora introdurre sostanze in grado di alterare il funzionamento dei delicati meccanismi cerebrali in evoluzione potrebbe rivelarsi decisamente dannoso sul lungo termine, in una misura che ancora non è stata del tutto compresa (Margraf, Schneider, 2016).
Oltretutto, in questa fase dello sviluppo il cervello è particolarmente recettivo e malleabile ed è quindi fondamentale fornirgli gli stimoli appropriati per un corretto sviluppo. E questi non hanno nulla a che vedere con il gesto passivo di ingurgitare una pillola.
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