«La rinuncia è un piccolo suicidio quotidiano» H. de Balzac
Nell’osservazione attenta delle dinamiche che il soggetto depresso reitera nei confronti di se stesso, degli altri e del mondo, si possono individuare alcune “regolarità” che ne rappresentano le psicotrappole:
L’atteggiamento fondamentale è la RINUNCIA NEI CONFRONTI DELLA VITA: poichè soffrirà comunque, il depresso rinuncia al tentativo di migliorare la propria vita, ovvero si arrende. Vede la fine davanti a sè e, credendo di non poterla evitare, le corre incontro.
«Immaginate un uomo condannato per una colpa non commessa. Viene imprigionato, ma non puo’ accettare di essere condannato per qualcosa di cui non è responsabile, e allora si danna, cerca di trovare tutti i modi per poter uscire dalla cella ma non ci riesce. Un giorno vede rizzare un patibolo nel cortile e, credendo erroneamente che sia destinato a lui, nottetempo evade dalla cella, scende nella corte e s’impicca da sè» (Kafka, 1948-1962).
La seconda caratteristica osservabile consiste nel relegare se stessi nel RUOLO DI VITTIMA che DELEGA (o PRETENDE) continuamente ad altri il compito di farlo sentire bene. Talvolta questo tipo di relazione si trasforma in un vero e proprio ricatto morale nei confronti dei familiari e partner: piu’ questi si prodigano ad aiutare il depresso, piu’ si sentono sotto accusa per la loro incapacità o inadeguatezza;
La terza psicotrappola consiste nel LAMENTARSI APERTAMENTE CON CHIUNQUE della propria sofferenza, o al contrario, nel CHIUDERSI in un fragoroso silenzio.
Come si puo’ ben comprendre, l’effetto della combinazione di queste tre psicotrappole produce la “pozione avvelenata” che il depresso si somministra quotidianamente.
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BIBLIOGRAFIA:
Muriana E., Petteno’, Verbitz T. (2006), I volti della depressione. Abbandonare il ruolo di vittima: curarsi con la psicoterapia in tempi brevi, Milano: Ponte alle Grazie.
Nardone G. (2013), Psicotrappole, ovvero le sofferenze che ci costruiamo da soli: imparare a riconoscerle e a combatterle, Milano: Ponte alla Grazie.