Se volete intraprendere questa strada, basteranno poche dritte per raggiungere l’obiettivo!
Iniziamo subito…
Tentativo fallimentare di tenere sotto controllo le proprie reazioni psicofisiologiche
A volte potrà sembrarvi che l’aria non circoli bene, e la prima indicazione è quella di sforzare il respiro. Piu’ respirate piu’ arricchite di ossigeno i polmoni ed il sangue. Visto che i polmoni si ostinano a lavorare da soli, quando c’è troppo ossigeno nel vostro sangue (e troppo poca anidride carbonica) smettono di lavorare. Risultato: il vostro diaframma non si muove, i riflessi si disattivano, e soprattutto si disattiva quel riflesso di espirazione che dà sollievo al sospiro (per i curiosi si tratta del riflesso di Hering-Breuer). Al momento pero’, spaventati come siete, pensate di non riuscire a respirare. E la soluzione sarà continuare a sforzare il respiro, cosa che complicherà tutto ma vi aiuterà a raggiungere prima il vostro obiettivo.
In effetti oltre ad avere i polmoni momentaneamente paralizzati, state modificando tutto l’organismo. Per gli specialisti, diminuisce l’acidità degli organi interni per mancanza di anidride carbonica, di conseguenza gli organi cominciano ad andare a 100 all’ora, contraendosi e decontraendosi. Il cuore batte, i muscoli tremano, l’intestino borbotta, le arterie si contraggono provocando vertigini e dolori al petto, la pelle comincia ad avvertire le piu’ svariate sensazioni, dette anche formicolio.
A questo punto avete una sufficiente quantità di motivi per convincervi di avere la malattia che temete:
- se pensate di stare soffocando, verificate che il vostro diaframma non si muove (e continuate a sforzare il respiro);
- se vi preoccupa una disfunzione cardiaca, controllate i battiti e i dolori al petto;
- se è la digestione a impensierirvi, fate attenzione alla tempesta nel vostro intestino;
- se avete paura di un ictus , tenete conto delle vertigini e del formicolio.
Ovviamente il vostro organismo, accelerato e ossigenato com’è, sarà pronto per scappare a gambe levate (l’organismo è predisposto a queste reazioni automatiche). Anche voi avvertite quest’impulso, e siete arrivati a credere di stare perdendo il controllo e di uscire pazzi, il che vi spingerà a respirare sempre piu’ forte e a complicare la situazione fino all’esaurimento.
Le cose si complicano, perché il solo pensiero degli attacchi vi spaventa e vi procura nuovi attacchi. Ormai riconoscete di aver paura, ma non una paura qualsiasi: unicamente la paura di aver paura. E al minimo segnale di allarme via subito dal luogo del delitto.
Tuttavia, attacchi di panico isolati non danno diritto a considerarsi malati: per il disturbo di panico bisogna averne piu’ d’uno. Come fare?
Tentativo di evitare o rifuggire ciò che spaventa
Beh, la cosa migliore per complicare la situazione sarà cominciare ad utilizzare una serie di precauzioni:
- smettere di fare esercizio fisico per non avere piu’ palpitazioni;
- e, per sicurezza, non tornare mai sul luogo del delitto (del primo attacco).
- per restare fedeli alla propria prigione, l’ideale sarebbe evitare non solo il luogo del delitto, fin troppo ovvio o semplicemente simbolico, ma tutti i posti e le situazioni ad esso associate per qualche motivo di cui apparentemente non siete consapevoli.
Pian piano eviterete tutto fino a non poter piu’ uscire di casa. Vi abituerete a uscire sempre e solo accompagnati, non sia mai vi capitasse qualcosa quando state soli. Avrete perso ogni autonomia, perché non riuscirete piu’ a fare niente da soli. Siete totalmente dipendenti dagli altri (molto probabilmente dal vostro partner).
Dopo alcune prove il vostro corpo imparerà (anche il corpo impara), avere un attacco sarà piu’ semplice (potrete averne perfino durante il sonno), la paura aumenterà e comincerete a collezionare attacchi.
Se le cose proseguiranno in questo modo, saranno sufficienti pochi mesi (dai 3 ai 6), per costruire un Disturbo da Attacchi di Panico e avere in dono anche un’Agorafobia con Attacchi di Panico.
Ricerca di aiuto e protezione
Potreste chiedere aiuto o no e, in ogni caso, sarà meglio non andare subito da uno psicologo ma cominciare prima a preoccuparvi della vostra salute fisica, nonostante il vostro medico abbia escluso qualsiasi condizione medica. Ma non vi fiderete e inizierete a passare da diversi medici eccentrici, che vi diranno cose contraddittorie e vi aiuteranno cosi’ a prestare maggiore attenzione alla vostra salute. La scelta migliore è trasformarvi in una cavia per le piu’ svariate pillole e se qualcuno vi parlerà di strategie psicologiche efficaci per il panico, protestate e dite che questa non è una teoria accettata dalla medicina (infatti spesso non lo è, visto che non fa vendere pasticche).
A questo punto, e solo a questo punto, sarete pronti per imbarcarvi in un’altra carriera patologica (depressione, somatizzazione…)
PANICO: UN ANSIOLITICO PUO’ ESSERE LA CURA?
L’idea di descrivere i meccanismi per complicare i problemi anziché quelli per risolverli deriva dalla consapevolezza clinica che gli esseri umani sono prima artefici e poi vittime delle realtà che costruiscono. Come ricorda Von Foerster (2001), «la realtà non è che la costruzione di coloro che credono di averla scoperta e analizzata. Ciò che viene ipoteticamente scoperto è un’invenzione, il cui inventore è inconsapevole del proprio inventare e considera la realtà come qualcosa che esiste indipendentemente da sé».
Negli ultimi trent’anni il sistematico processo di «ricerca-intervento» portato avanti dal Centro di Terapia Strategica di Arezzo, ha permesso di individuare una serie di «tentate soluzioni» messe in atto con l’intento di risolvere i problemi ma che, in realtà, anziché risolverli, li alimentano trasformandoli in vere e proprie patologie (Watzlawick e Nardone, 1997).
Solo se ci si occupa di come i sistemi umani costruiscono i problemi e persistono nel mantenerli si puo’ arrivare a progettare e applicare pratiche strategie di intervento capaci di produrre rapidi e risolutivi cambiamenti in tali sistemi.
BIBLIOGRAFIA:
Josè L. Pio Abreu (2005), Come diventare un malato di mente, Finestre Voland
Nardone Giorgio (2013), Psicotrappole, ovvero le sofferenze che ci costruiamo da soli: imparare a riconoscerle e a combatterle, Milano: Ponte alle Grazie.