Psicologo: istruzioni per l’uso…

«Per quanto sogniamo di cambiare noi stessi o il mondo, è solo attraverso azioni banali che possiamo riuscirci»

«Un manager, di origine ebraica, che lavora a Milano e che dirige con notevole successo una sede di un’importante multinazionale, comincio’ a manifestare un fastidiosissimo disturbo: “Tutte le notti, non appena si sdraia sul suo letto, nella sua mente si scatenano una tormentata serie di spaventose immagini. Egli sente e vede sotto il suo letto una titanica lotta tra spiriti del male e del bene. Tormentato da queste immagini allucinatorie egli non riesce piu’ a dormire”.

Il manager si rivolse prima a uno Psichiatra, il quale gli somministro’ dei farmaci che non produssero alcun effetto sul disturbo, ma che gli procurarono una forte sedazione e un rallentamento nelle attività giornaliere, nelle quali peraltro egli non aveva mai avuto alcun problema.

Fallito l’intervento farmacologico, si rivolse a uno Psicanalista. Con questi, egli analizzo’ nell’arco di circa  2 anni, tutta la sua infanzia e scopri’ che sicuramente il fastidiosissimo sintomo, che continuava imperterrito a persistere, era causato da un suo non risolto “conflitto edipico”. Il manager comincio’ a perdere le speranze di riuscire a eliminare il suo tormento, visto che anche l’analisi del profondo sino ad allora non aveva sortito alcun effetto terapeutico se non quello di avergli messo in testa tutta una serie di complicate idee e pensieri aggressivi nei confronti del padre.

A questo punto, su indicazione di un caro amico, come lui ebreo, decise di andare a chiedere consiglio al Rabbino capo della comunità ebraica della sua città. Questi lo ricevette e ascolto’ con attenzione il suo problema: concordarono nel rilevare che la battaglia tra gli spiriti avveniva soltanto sotto il letto e iniziava esattamente nel momento in cui il manager chiudeva gli occhi. Il rabbino, cosi’ riferisce il manager, accarezzandosi la lunga barba bianca e guardandolo con serena decisione gli disse: “Bene, adesso tu vai a casa e sega le gambe del tuo letto, facendo in modo che non ci sia piu’ spazio per la battaglia! E dormi tranquillo!” Il manager segui’ la prescrizione e come per magia il cosi’ tormentato disturbo scomparve per sempre».

Questo reale aneddoto ci introduce al problema della scelta e dell’uso della figura del terapeuta della mente in tutte le sue possibili sfaccettature, dal biologista sino al taumaturgo. In effetti, quando una persona che presenta un problema di tipo psichico e/o comportamentale decide di intraprendere un percorso psicologico, entra immediatamente all’interno di un intricato dilemma relativo alla scelta tra la costellazione cosi’ variegata di interventi psicologici o psichiatrici. Esistono oltre 500 tipi diversi di psicoterapia e decine di scuole di psichiatria farmacologica, tutte impegnate a declamare il proprio approccio come “verità” assoluta rispetto al modo di curare tali disturbi. Ora è evidente come una persona che si trovi ad aver bisogno di cure psicologiche e psichiatriche, di fronte a tale intricato panorama, possa correre il rischio di perdersi nella foresta delle tante possibili alternative di cura.

Ma, una realtà che il pubblico dei non addetti ai lavori spesso non conosce, è che, al di là delle differenze spesso evidenti tra modelli terapeutici, non tutti si prestano bene alla misurazione della loro concreta EFFICACIA. Ad esempio, l’approccio breve strategico, come gli approcci cognitivisti e comportamentali, basando il proprio intervento sul raggiungimento di obiettivi precisi, si presta molto bene alla misurazione della sua efficacia.

In ambito strategico, per valutare l’efficacia del trattamento, vengono utilizzati due parametri:

  • VALUTAZIONE DELL’ESITO FINALE della terapia: ossia, sono stati raggiunti alla fine della terapia gli obbiettivi prefissati e concordati con il soggetto che chiede aiuto? I problemi presentati dal paziente sono stati risolti e non sussistono più alla fine del trattamento? Si sono presentati spostamenti del sintomo?
  • EFFICACIA NEL TEMPO: ossia, i risultati ottenuti alla fine della terapia si mantengono nel tempo o si presentano ricadute? Si sviluppano disturbi sostitutivi di quelli originari? A questo fine si procede con tre follow-up a distanza di 3 mesi, 6 mesi e un anno dalla fine del trattamento.

Infine, un altro importantissimo indice è rappresentato dall’EFFICIENZA di un trattamento psicologico, in altre parole il tempo impiegato per ottenere risultati e il conseguente rapporto costi/benefici che ne deriva: l’efficienza del trattamento è la caratteristica che distingue piu positivamente i risultati ottenuti mediante l’approccio strategico dai risultati ottenuti mediante altri approcci psicoterapeutici (le ricerche atte a valutare la durata media dei trattamenti attestano una durata che va da 5 a 15 sedute, ossia 3-5 mesi). Una volta garantita l’efficacia di un intervento terapeutico, la sua efficienza diviene un aspetto da tenere in grande considerazione, questo nell’etico rispetto della persona che chiede aiuto e del suo diritto di stare meglio prima possibile. Infatti, il vero costo, relativo alla durata piu o meno lunga della terapia, oltre a quello economico, è quello esistenziale relativo alla qualita della vita del paziente.

Se mettiamo insieme questo tipo di caratteristica con l’efficacia che si attesta su valori decisamente alti e il non presentarsi di ricadute, si puo’ sicuramente affermare che l’approccio strategico garantisce un’alta efficacia e una notevole efficienza.

Il lettore si chiederà, a questo punto, cosa si deve fare, nel momento in cui si ha bisogno di cure psicologiche e psichiatriche?

La risposta puo’ essere offerta da una sorta di:

DECALOGO COMPORTAMENTALE DELLO PSICO PAZIENTE:

1)Cercate di risolvere i vostri problemi con terapie che espongano ai minori rischi e pericoli, e ai minori costi esistenziali; solo se queste non producono risultati passate a metodi piu’ massicci: tenete a mente che il massimo terapeutico è ottenere tanto mediante poco. (Vedi “Metodo Innovativo”);

2)Pretendete una previsione, ovviamente probabilistica, della durata della terapia: cosi’ avrete una sorta di parametro dell’attendibilità di cio’ che state facendo;

3)Concordate con il vostro dottore gli obiettivi terapeutici da raggiungere: questo è il modo per inchiodarlo alle sue responsabilità di terapeuta;

4)Esigete chiare e concrete indicazioni terapeutiche: evitate di farvi abbindolare in fumose interpretazioni, meditazioni o in  indicazioni poco concrete;

5)Di fronte a qualunque indicazione terapeutica procedete insieme al vostro terapeuta a una valutazione critica dei costi e benefici previsti, in modo tale da evitare di “sparare con il cannone a un moscerino”, anche perchè a farne le spese siete voi in prima persona;

6)Valutate, in termini concreti la qualità del vostro stato, i cambiamenti ottenuti e proponete le vostre valutazioni al dottore: cosi’ lo costringerete a fare altrettanto e a non perdersi dentro la sua teoria, perdendo di vista i fatti concreti;

7)Evitate di farvi intimidire dal ruolo o dal linguaggio, spesso astruso e incomprensibile, degli psicologi. Non accettate di buon grado diagnosi stilate con linguaggio specialistico ma pretendete, in maniera serena e ferma, una chiara e concreta spiegazione delle attribuzioni e interpretazioni effettuate dallo psicologo e delle motivazioni che lo inducono a tale valutazione diagnostica. Evitate di farvi etichettare patologicamente!

8)Evitate di essere completamente acquiescenti: se qualcosa non vi è chiaro o non vi piace fatevi avanti e pretendete chiarimenti sino alla vostra completa soddisfazione. È lo psicologo/psichiatra al vostro servizio, non voi al suo!

9)Evitate di farvi fare troppi complimenti cosi’ come non accettate di essere continuamente denigrati: i complimenti fanno piacere ma non guariscono, le denigrazioni possono essere talvolta utili, ma se costanti fanno solo star peggio;

10)Se dopo qualche tempo (3 o 4 mesi) non rilevate alcun miglioramento, cambiate terapia o terapeuta, o entrambi: se un metodo non produce alcun miglioramento nell’arco di qualche mese c’è da dubitare seriamente della sua efficienza. Una terapia che non funziona, se procrastinata, finisce per indurre peggioramenti!


BIBLIOGRAFIA:

Nardone G. (2006), Manuale di sopravvivenza per psicopazienti, Tea Edizioni


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