«La causa principale dei problemi sono le soluzioni» A. Bloch
«È notte. Un ubriaco sta cercando la chiave che ha perso sotto la luce di un lampione. Un passante soccorrevole si offre di aiutare il povero ubriaco a ritrovare l’oggetto perduto. Dopo un bel po’ che i due stanno cercando senza successo, il signore soccorrevole, scocciato, rivolgendosi all’ubriaco chiede: ‘Ma è proprio sicuro di averla perduta qui?’ E l’altro: ‘Certo che no, ma dove l’ho perduta è troppo buio per cercarla’»
Se poniamo attenzione a quello che tendenzialmente facciamo quando abbiamo un problema da risolvere, spesso ci comportiamo come l’ubriaco della storiella: ci affidiamo a quello che ci riesce bene fare, anche se non sempre quello che sappiamo fare bene, è un bene. Molte volte la soluzione si trova lontana dal lampione.
Una di quelle cose che ci riesce benissimo è ripetere soluzioni che hanno già funzionato in passato. In altri termini, per la tendenza all’economia mentale che ci caratterizza, applichiamo nel presente quelle soluzioni che si sono rivelate funzionali nel passato secondo la logica del “se ha funzionato prima, funzionerà anche adesso”. Purtroppo, pero’, l’errore strategico è quello di trascurare la continua evoluzione sia in noi sia nell’ambiente che ci circonda: cio’ fa si che una buona soluzione applicata un tempo, possa divenire pessima se applicata in tempi diversi. È un po’ come se cercassimo di orientarci nella Roma di oggi utilizzando una mappa redatta dai cartografi di Giulio Cesare.
Un’altra modalità, sempre dovuta alla citata necessità di economia mentale, è la tendenza applicare lo stesso tipo di soluzione a problemi simili ma non uguali. In questi casi, invece, è come se cercassimo di orientarci a Roma utilizzando la mappa di Milano.
Questo strategia si rivela fallimentare perchè la nostra memoria ci inganna continuamente e ci puo’ far apparire uguali problemi che in realtà funzionano in modo completamente diverso. Infatti, stando agli sviluppi piu’ interessanti degli studi sulla percezione, i nostri ricordi non combaciano mai con la realtà dei fatti accaduti, ma sono il frutto della loro continua rielaborazione e combinazione con le nostre percezioni, i nostri pregiudizi, i nostri valori, i nostri stati d’animo e le nostre cognizioni attuali. In altri termini, quando riconosciamo un problema e pensiamo che sia simile a un altro che abbiamo già risolto, magari anche di recente, dobbiamo scongiurare il rischio di voler far combaciare a tutti i costi la realtà attuale ad una situazione vissuta in passato, simile ma non identica a quella presente.
Un ulteriore tendenza è quella di applicare l’elemento opposto a quello che ha prodotto la deviazione (Esempio: quando sentiamo freddo opponiamo il caldo al freddo per sentire meno freddo)
Un esempio calzante puo’ essere quello della DEPRESSIONE: se un nostro familiare sta attraversando un periodo di tristezza, stanchezza e pessimismo, è molto probabile che cercheremo di risollevare il suo morale con frasi del tipo: «Dai tirati su, reagisci! Non vedi quanto è bella la vita? Perchè non esci, invece di startene tappato in camera tutto il giorno a rimuginare sui tuoi problemi?» Incitamenti simili, messi in atto con le migliori intenzioni, possono contribuire a peggiorare anzichè migliorare la sensazione di tristezza e di incapacità ad affrontare la vita in quella persona, perchè evidenziano la differenza tra il suo stato e quello di tutti gli altri e perchè sottolineano la sua incapacità a risollevarsi dal momento di crisi. D’altronde – come afferma Karl Marx – «la via per l’inferno è lastricata di buone intenzioni».
E se tali soluzioni non dovessero produrre i risultati sperati, quello che ci viene piu’ semplice fare, di solito, è applicare ancora di piu’ quello che prima non ha funzionato o perchè pensiamo di non averlo applicato abbastanza o perchè pensiamo di non averlo fatto con sufficiente enfasi, con il risultato che alla fine la soluzione diventa peggio dei mali che avrebbe dovuto risolvere. È quella che Paul Watzlawick ha definito la “logica del piu’ di prima” o “ipersoluzione”: se la serratura non si apre, posso pensare di aver sbagliato chiave, ma posso anche pensare, sbagliando, di non aver esercitato una sufficiente rotazione e insistere fino a rompere la chiave!
Riprendendo l’esempio precedente, se insistiamo sulla linea del «ma come non ti accorgi di quanto il mondo sia meraviglioso», oltre alla malinconia, che in origine per il nostro familiare avrebbe potuto essere soltanto uno stato temporaneo, si corre il rischio concreto di infondergli sentimenti di fallimento, cattiveria e ingratitudine proprio verso di noi che, nelle nostre intenzioni, pensavamo di aiutarlo con tutti gli sforzi possibili. Ecco, la depressione è proprio questo stadio finale e non lo stato malinconico manifestatosi all’origine!
Riassumendo, le 3 MODALITÀ SICURE PER FALLIRE affrontando un problema consistono in:
1)Ripescare dal nostro passato quelle che si sono rivelate buone soluzioni e nel volerle applicare al problema presente;
2)Tentare di attuare soluzioni che hanno funzionato su un problema apparentemente simile;
3)Insistere ad applicare una tentata soluzione, ritenendo che non funzioni perchè non l’abbiamo applicata abbastanza bene, oppure per un tempo sufficiente (ipersoluzione) o, ancora, perchè non abbiamo valutato a fondo la situazione.
«Se sei salito a bordo del treno sbagliato, non ti serve a molto correre lungo il corridoio nella direzione opposta» Dietrich Bonhoeffer
DALLE SOLUZIONI CHE COMPLICANO ALLE SOLUZIONI CHE RISOLVONO
BIBLIOGRAFIA:
Watzlawick P., Weakland John H., Fisch R. (1974) Change: sulla formazione e la soluzione dei problemi, Astrolabio Ubaldini (collana Psiche e coscienza)